Back

L’uguaglianza, la lotta al razzismo e al nazifascismo competono anche alle società: tre proposte in Parlamento 

Due proposte di legge e un disegno di legge presentate in Parlamento il 19 ottobre intendono intervenire sul Codice Penale e sul Decreto Legislativo 231/2001 per contrastare i fenomeni di razzismo e xenofobia e apologia del nazifascismo. 

Le proposte intendono estendere la responsabilità degli enti inserendo esplicitamente tra i reati punibili anche in capo alla società, «l’esaltazione dei metodi eversivi dell’ordinamento democratico propri dell’ideologia fascista o nazifascista». 

Da un punto di vista tecnico, si tratta di una integrazione della lettera a) dell’articolo 604 bis del Codice Penale e dell’introduzione di un nuovo punto 1 all’articolo, il 25 terdecies nel D. L. 231/2001. Questo articolo, intestato «razzismo e xenofobia» è stato introdotto nel 2017 dalla legge n. 167 del 20 novembre. 

Le nuove proposte intendono estendere agli enti la responsabilità per tutte le condotte previste dall’articolo 604 bis del Codice Penale, integrandole con l’esaltazione dell’ideologia fascista e nazifascista. 

Ricordiamo che l’articolo punisce la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa: 

  • fare propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico; 
  • commettere o istigare a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; 
  • commettere o istigare a commettere violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; 
  • organizzare o partecipare ad associazione, movimento o gruppo che ha tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi 
  • istigare e incitare atteggiamenti di negazionismo, minimizzazione o apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra. 

Il dibattito sulla esistenza di reati di questo tipo va avanti sin dalla loro prima introduzione nel 1975. 

I due i profili di maggiore criticità riguardano la compressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita e l’opportunità di vietare queste condotte in un ordinamento democratico. 

La Giurisprudenza ha risposto negli anni e ha fornito alcune definizioni che costituiscono le linee guida per l’intera legislazione in materia. 

 

La libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’articolo 21 della Costituzione non ha valore assoluto.

Va coordinata e bilanciata con altri valori costituzionali come l’uguaglianza e l’adeguamento ai trattati internazionali (articoli 3 e 117, 1° comma). 

La Cassazione ha ritenuto che la libertà di manifestazione del pensiero e quella di ricerca storica cessano nel momento in cui travalichino in comportamenti di istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista. 

Questo orientamento è stato confermato anche in relazione al divieto di partecipazione, promozione e direzione di organizzazioni violente, razziste o xenofobe, definendo l’incitamento come un comportamento più incisivo della sola espressione di una opinione personale. 

Anche la Corte Costituzionale è entrata nel dibattito precisando la portata dell’articolo 21 della Costituzione. Questa libertà non può superare il limite imposto da altri principi costituzionali fondamentali come la pari dignità di ogni essere umano. 

L’introduzione, nelle norme che prevedono questi reati, della condotta di propaganda nazifascista incontra analoghi dubbi di interpretazione: 

  1. fino a che punto si potrà trattare di queste ideologie senza incorrere nella condotta da cui discende la responsabilità penale; 
  2. fino a che punto il diritto di cronaca e la libertà di pensiero possono essere limitati. 
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 37581/2008 ha definito l’attività di «propagandare» che sta alla base dei reati di cui parliamo come pienamente compatibile con la libertà di manifestazione del pensiero. 

I dubbi però restano e riguardano in particolare quelli legati al revisionismo storico in ambito scientifico-editoriale. 

Editori e storici rischiano di essere incriminati se decidono di trattare l’ideologia nazifascista in maniera acritica e senza il ricorso a toni dispregiativi. La mancata presa di posizione, infatti, potrebbe essere interpretata come propaganda. 

Una società editrice che pubblicasse in forma integrale, senza commenti il testo del «Mein Kampf», potrebbe essere accusata di volerne diffonderne le idee.  

Il testo, pilastro dell’ideologia nazifascista, se pubblicato e diffuso semplicemente in librerie e negozi anche virtuali, potrebbe infatti essere interpretato come mezzo idoneo a influenzare l’opinione pubblica. 

La previsione delle norme proposte è molto generica e rende difficile per una società o un ente attrezzarsi adeguatamente per prevenire la commissione di questi reati. 

L’auspicio degli interpreti è che i firmatari delle proposte e soprattutto il Parlamento, se le dovesse adottare, integrino fornendo indicazioni adeguate per circoscrivere i comportamenti vietati e consentire alle società e agli enti di aggiornare i propri modelli 231 in modo da prevenire il rischio che vengano commessi. 

 

Un contributo dell’Avv. Mario Marco Tetta

Condividi articolo