Cassazione IV Sezione Penale, 15 settembre 2022 (udienza 26 maggio 2022), numero 33994
“L’esposizione nelle dichiarazioni contabili di dati fittizi, anche solo soggettivamente, implica il configurarsi del reato di cui all’articolo 2 del decreto legislativo numero 74 del 2000. Non contrasta con il diritto comunitario una normativa nazionale che preveda l’indetraibilità dell’I.V.A. per i soggetti utilizzatori, seppur l’imposta è stata assolta dall’emittente, qualora si tratti di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e ove non sia dimostrata la buona fede in capo all’emittente e non si sia ovviato all’eliminazione di ogni rischio di perdita del gettito fiscale per lo Stato”.
Il caso
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte concerne la contestazione del reato di cui all’articolo 2 del decreto legislativo numero 74 del 2000, per una illecita attività di somministrazione di manodopera da parte di una società in favore di imprese del settore turistico e della ristorazione, dissimulata attraverso la stipula di fittizi contratti di appalto di servizi, comunque assistiti da fatturazione
Veniva disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta e per equivalente delle somme nella disponibilità del rappresentante legale di due delle società utilizzatrici delle fatturazioni.
Riteneva il G.I.P., che l’imputato fosse consapevole della falsità delle fatture rilasciate dall’emittente, dal momento che, sebbene le fatture riguardassero operazioni economicamente ed effettivamente eseguite, in realtà, erano relative, a operazioni giuridicamente e soggettivamente inesistenti.
Le suindicate fatture, annotate nelle scritture contabili, avevano consentito di maturare un consistente credito IVA, seppur indebitamente formato, per diverse annualità
Il ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del riesame, pronunciatosi una seconda volta a seguito della sentenza di annullamento della Terza Sezione della Corte di legittimità, deducendo l’assenza del dolo specifico, ossia l’assenza nella condotta realizzata della finalità evasiva, comprensiva anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta e del danno in capo allo Stato.
Deduceva il ricorrente che le imprese dal medesimo amministrate nei confronti delle quali è stata emessa fatturazione avevano correttamente corrisposto l’IVA alla società emittente, la quale, a sua volta, aveva provveduto a versare regolarmente gli importi dovuti all’erario.
La questione
La sentenza esamina la compatibilità tra la normativa nazionale e il diritto comunitario con riguardo alla indetraibilità dell’IVA.
In particolare, la Cassazione ribadisce il proprio orientamento in materia, affermando che la normativa nazionale che prevede l’indetraibilità dell’IVA., seppur assolta dall’emittente, non si pone in contrasto con il diritto comunitario, qualora oggetto delle fatture siano operazioni anche solo soggettivamente e giuridicamente inesistenti e non sia dimostrata la buona fede dell’emittente, consistente nel non voler determinare alcun danno erariale in capo allo Stato.
In relazione alla non detraibilità dell’IVA nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’orientamento giurisprudenziale più recente afferma che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex articolo 2 decreto legislativo numero 74 del 2000, è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente e giuridicamente falsa, ossia quando le attività siano state effettivamente ed economicamente eseguite, sebbene abbiano a oggetto operazioni giuridicamente inesistenti, in quanto si attesta il compimento di un negozio giuridico diverso da quello realmente intercorso tra le parti, che nel caso di specie esclude l’assunzione del rischio di impresa, al fine illecito di conseguire una evasione di imposta.
La tesi pone l’accento sull’interpretazione estensiva e sul bene giuridico tutelato dalla norma richiamata, ribadendo che la definizione di “operazioni inesistenti” ricomprende non solo quelle attività oggettivamente inesistenti, ossia le operazioni che non vengono concretamente realizzate, ma anche quelle operazioni che seppur realmente effettuate sono da considerare giuridicamente inesistenti, in quanto volti all’esecuzione di azioni differenti rispetto a quelle prospettate e grazie alle quali è possibile ottenere illecitamente un beneficio consistente in un indebito credito IVA per le società utilizzatrici.
Solo in tal modo è possibile assicurare un’effettiva tutela del bene giuridico protetto dalla norma, evitando che si possa verificare il pericolo di evasione fiscale con conseguente danno per lo Stato.
La decisione
La soluzione accolta dalla Corte di Cassazione si pone in conformità rispetto all’orientamento sopra descritto, ritenendo che la dissimulazione di un contratto che faccia riferimento ad attività per le quali l’emittente non assume alcun rischio di impresa sia idonea e in grado di consentire alle società utilizzatrici delle fatture di abbattere indebitamente il reddito di esercizio e di detrarre l’IVA, usufruendo di un credito che, altrimenti, non avrebbero maturato.
La Corte di legittimità, in continuità con la giurisprudenza eurounitaria, ha ritenuto, che quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto di detrazione.
Da una operazione fittizia non può derivare il diritto ad alcuna detrazione dell’IVA e l’ipotesi di detrazione in seguito all’emissione di false fatture è idoneo a configurare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex articolo 2 del decreto legislativo numero 74 del 2000.
Sulla base della citata direttiva, che mira a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale derivante da operazioni inesistenti, è imposto agli Stati membri di consentire all’emittente di richiedere il rimborso dell’imposta versata solo nel caso in cui la stessa abbia provveduto a eliminare ogni rischio di perdita del gettito fiscale.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che, seppure l’obbligo di versare l’imposta indicata nella fattura spetta all’emittente, la normativa relativa all’indetraibilità dell’IVA per operazioni inesistenti è differente ed è riferita direttamente al destinatario di tale fattura.
La Suprema Corte ha così ribadito che la dissimulazione di negozi giuridici che permettono alle società utilizzatrici di inserire all’interno delle scritture contabili dati relativi all’emissione di fatture false per abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo del servizio e di detrarre l’IVA esposta nelle fatture, al fine di beneficiare di un diverso regime impositivo e incamerare il relativo profitto dato dalla detrazione dell’IVA, integra il reato di cui all’articolo 2 del decreto legislativo numero 74 del 2000, senza che ciò contrasti con la normativa eurounitaria.
Un contributo dell’avv. Valentina Ferraro